In una giornata e mezzo, i partecipanti hanno potuto ascoltare interventi e relazioni che hanno individuato problematiche e sfide, a diversi livelli, per l’Associazione. Oltre agli interventi del presidente Gianpietro Briola e del segretario Ruggiero Fiore, i lavori hanno potuto contare su 3 importanti relazioni di esterni.
Pasquale Colamartino, già presidente AVIS e Fiods e oggi componente del direttivo CNS, ha voluto ricostruire il percorso di condivisione AVIS-istituzioni dei passati decenni:
Il patto politico su cui si chiuse l’accordo impegnava le regioni a concorrere a un obiettivo di interesse nazionale. Questo obiettivo di federalismo solidale inizia però oggi a vacillare e le regioni si sottraggono ai loro impegni. Un altro punto debole della legge sul sistema trasfusionale è la debolezza del modello di governance e la disomogeneità del modello organizzativo, gestionale, ispettivo.
Dobbiamo preservare il nostro modello e dobbiamo difendere il principio dell’autosufficienza basata sulla donazione gratuita, volontaria, non remunerata.
Il conto-lavorazione è un’anomalia tutta italiana, ma in senso positivo. In Germania la distribuzione dei plasmaderivati è regolata solo dalle tariffe, non da principi etici. Il prodotto finale va così a chi paga di più.
Il nostro sistema basato sull’alleanza tra pubblico e non profit associativo va tutelato.
AVIS deve investire sul marketing e sulle nuove strategie di comunicazione. Non mi riferisco solo alle campagne, che abbiamo sempre fatto, ma alla formazione delle strategie di comunicazione sul territorio.
In questo senso, il progetto con l’Università Bocconi ci permetterà – in un’ottica circolare -di dare un orientamento, individuare le ricadute e avere una formazione strategica continua.
E’stata poi la volta di Rosanna Tarricone, docente della Bocconi di Milano, che seguirà prossimamente un progetto per AVIS: “il sistema trasfusionale nazionale è cruciale per la salute della nostra collettività, ma viviamo in una sorta di paradosso: a partire dalla modifica del titolo V si assiste ad una continua divaricazione nei livelli assistenziali tra il nord ed il sud.
Le grandi sfide del sistema trasfusionale sono: i sistemi di governo, i sistemi informativi, i sistemi di rilevazione e rendicontazione. In Italia non esiste la cultura del dato, mentre l’analisi quantitativa deve essere considerata uno strumento fondamentale.
Certamente anche Avis ha delle criticità, tra cui l’eccessiva frammentazione e mancanza di omogeneità, e un mutamento della società senza un conseguente mutamento cambiamento associativo
Oggi occorre misurarci per poter migliorare e misurare il valore che noi produciamo
Bisogna avere una mappatura dei punti di forza e di debolezza (per l’analisi delle strategie future) ed
è assolutamente necessario avere quanti più dati possibili per valutare la realtà dei fatti.
Bisogna poi favorire il confronto con altre realtà europee. Il radicamento territoriale è un valore, ma deve essere dimostrato. Avis deve diventare l’attore chiave del cambiamento nel sistema trasfusionale, ma siamo in un’epoca in cui non è più sufficiente guardare al passato. Siamo in un sistema sfidante e competitivo. Il futuro del Sistema si chiama AVIS, ma questo va guadagnato e dimostrato.
Domenico Simeone, docente di pedagogia all’Università cattolica si è soffermato sul tema ‘Avis e le giovani generazioni’.
Esiste la difficoltà di integrare le giovani generazioni nei vecchi modelli associativi. Come è cambiato il mondo giovanile?
Non si può usare la nostra esperienza per leggere le esperienze dei giovani di oggi perché sono cambiati i paradigmi
A volte si guarda la realtà giovanile con gli stereotipi dei nostri occhi, ma i giovani devono essere guardati ed ascoltati per quello che sono e le loro istanze.
Noi siamo cresciuti in una società che aveva delle grandi narrazioni: oggi invece viviamo in una epoca che è frammentaria, con difficoltà di avere un pensiero progettuale e continuativo.
Bisogna colmare il gap con i giovani e dobbiamo coinvolgerli ed aiutarli ad inserirsi in una prospettiva progettuale.
C’è una certa “benevolenza” con cui i giovani guardano al volontariato, ma c’è anche un 61% che non ne ha mai fatto volontariato. Oggi i giovani fanno un volontariato “mordi e fuggi”. Noi forse respingiamo questa forma di avvicinamento al volontariato, ma invece dovremmo usare questa condizione come un’opportunità di incontro e relazione.
Un’altra realtà interessante è quella dei giovani stranieri, per cui è ancora più difficile inserirsi in realtà di volontariato e processi di donazione.
Entrando nel merito dei dati su giovani e volontariato, bisogna evidenziare che quando i giovani conoscono le realtà del non profit, ne rimangono affascinati. Chi fa volontariato poi sta meglio con se stesso e i giovani che praticano volontariato stanno meglio con se stessi e con gli altri.
Chi non pratica il volontariato, infine, sarebbe comunque disponibile a provare.
Quando i giovani entrano nelle associazioni non sempre hanno rapporti semplici con i senior e le nostre ricerche hanno rilevato una difficoltà nella comunicazione tra giovani e senior. La soluzione è in un atteggiamento di profondo ascolto reciproco.
Come coinvolgere allora i giovani? Bisogna trovare una relazione che propone e non impone, che sa tollerare le intemperanze e talvolta le incoerenze dei giovani. In tutto questo ci vuole un approccio rispettoso, attraente e trasparente.
12.11.2018 AVIS NAZIONALE